A talk with Rolf Fehlbaum
Le torri sono un’evoluzione di BRIC, l’installazione site-specific realizzata dall’artista francese per MUT nel 2019, dove sette strutture di diverse forme e dimensioni hanno dato vita a un paesaggio inaspettato, metafisico. Rolf Fehlbaum ci ha raccontato la storia dello spazio di Weil am Rhein, di come si sia sviluppato nel corso degli anni e dell’arrivo di Torre Numero Due. Ci ha parlato dei cambiamenti che stanno avvenendo all’interno dell’azienda e, più in generale, nel mondo del design e dell’architettura.
Sono già passati 6 anni dal nostro ultimo incontro. Era il 2015 e stavamo lanciando Mutina Journal. Cosa è cambiato da allora?
Vitra è cambiata molto e la pandemia ha accelerato questo processo. Sono molto meno coinvolto rispetto a 6 anni fa e felice che la direzione sia in buone mani, quelle di mia nipote Nora.
Mi occupo ancora molto dello sviluppo di Vitra Campus: nel 2016 abbiamo inaugurato lo Schaudepot, presentando circa 400 approfondimenti della collezione di VDM, con la possibilità di accedere al deposito dove sono conservati più di 7000 pezzi di design. Nel 2018 sono state introdotte due opere di Ronan ed Erwan Bouroullec e un piccolo edificio progettato dall’artista Thomas Schütte. L’anno scorso abbiamo introdotto un grande cortile disegnato da Piet Oudolf, che sarà inaugurato ufficialmente quest’anno. Sempre nel 2021, il progetto Umbrella House dell’architetto giapponese Shinohara verrà spedito in parti via container e montato nel Campus, così come la Torre Numero Due di Nathalie Du Pasquier. Ho anche aperto la mia Wunderkammer, con parte della mia collezione di robots, giocattoli spaziali e personaggi dei fumetti, arte popolare.
Questa volta parliamo di un progetto emozionante, che vede Mutina avvicinarsi al mondo di Vitra: Torre Numero Due di Nathalie Du Pasquier verrà installata appena al di fuori di Vitra Campus a Weil am Rhein. Come interagirà con lo spazio sul piano ispirazionale e architettonico?
È stata appena installata lungo la Siza Promenade, di fronte a una grande parete di cemento che fa parte della Fire Station progettata da Zaha Hadid. Credo che si sposerà bene con il resto del Campus. Anche la Sliding Tower di Höllers ingloba arte, design e architettura, così come gli interventi dei Bouroullec e la Blockhaus di Schütte. Credo che Torre Numero Due abbia lo stesso spirito.
Spero di incontrare presto Nathalie Du Pasquier. Ho osservato e apprezzato molto il suo lavoro negli ultimi anni, quindi quando ho visto le immagini delle torri ho pensato che sarebbe stato bello averne una qui. È stato spontaneo. Conoscendo le sue opere ero in qualche modo ero preparato e, dal momento che sono affezionato a Massimo e ammiro il lavoro di Mutina, ero certo che avrebbe funzionato. Normalmente sarei andato in Italia per vedere le strutture, ma non ho potuto farlo a causa della pandemia. Mi sono semplicemente fidato del mio istinto.
Hai preso le redini di Vitra nel 1977. Nel 1981, un incendio distrusse gli stabilimenti dell’azienda e quello è stato in qualche modo l’inizio di Vitra Campus. Come hai avuto l’idea di un progetto così ambizioso e come si è sviluppato? La forte presenza internazionale è stata un elemento chiave fin dal principio?
Mi piaceva l’idea che il Campus fosse extraterritoriale. Ho invitato architetti che normalmente non avrebbero lavorati qui, di conseguenza è diventato di stampo internazionale. È iniziato con Grimshaw dal Regno Unito, seguito da Gehry dagli Stati Uniti, Hadid dall’Iraq e Ando dal Giappone… ma così sembra che fosse un grande piano. In realtà è successo passo dopo passo, ispirato da incontri accidentali che era impossibile prevedere.
Quando ho visto le immagini delle torri ho pensato che sarebbe stato bello averne una qui. È stato spontaneo.
Vitra Campus è più di un museo a cielo aperto, è frutto di una visione e di sperimentazione. Permette alle persone di fare esperienza dell’architettura a 360°, in modo rivoluzionario. Che tipo di impatto immagini ricevano i visitatori da questo luogo?
L’idea era che le persone, famiglie con bambini che giocano, si godessero una giornata da Vitra, visitando una mostra, mangiando, passeggiando, comprando qualcosa. Oppure prendendo parte a un workshop, o seguendo un tour sull’architettura. Guardando, imparando, divertendosi. Credo che, dal momento che l’industria distrugge siti trasformandoli in non-siti, sia opportuno crearne di nuovi, piuttosto che zone industriali monotematiche.
Nel 2015 ci hai detto che, istintivamente, il tuo motto era: “Fai il meglio con ciò che hai!”, ovvero concentrarsi sui punti di forza e usare le debolezze per creare nuovi legami proficui con persone che hanno capacità complementari alle proprie. La pensi allo stesso modo anche ora, dopo il periodo difficile che abbiamo attraversato nell’ultimo anno?
Continuo a pensare che le differenze leghino le persone e che la diversità sia un valore. È un concetto che riprende la teoria di Fourier secondo cui se lasci interagire liberamente persone con capacità e interessi differenti, si crea una sorta di equilibrio, un’armonia dove tutti traggono profitto dalle specialità degli altri. E in ultimo anche la società.
Purtroppo le opportunità per questo tipo di incontri sono sempre meno a causa dei social media, che portano polarizzazione e settarismo. Ma nella mia esperienza quotidiana ho a che fare con persone che sono in grado di fare cose che io non so fare, mentre io posso a dare il via a qualcosa che loro altrimenti non potrebbero iniziare. Il lavoro offre grandi possibilità per sviluppare interazioni che non siano solo funzionali, ma anche emozionali.
In che modo la pandemia e il nuovo stile di vita che siamo stati costretti ad adottare hanno influenzato l’ambito del design? Quali effetti pensi che avrà sul nostro futuro?
Vitra lavora molto sulle conseguenza per l’ambiente di lavoro, ma sotto questo aspetto sono più un osservatore. In generale, credo che la cooperazione tra designer provenienti da diverse discipline – architetti, product designer, paesaggisti o specialisti delle scienze sociali – stia diventando sempre più frequente. Potrebbe essere una reazione allo star system, ma soprattutto deriva della consapevolezza che l’obiettivo non è più creare un buon edificio o un buon prodotto, ma un buon ambiente.
Sei stato presidente emerito e membro attivo del consiglio direttivo di Vitra per diverso tempo. Cosa prevedi per il futuro dell’azienda?
È in atto un forte processo di concentrazione nel nostro ambito, molte delle aziende a conduzione familiare ora sono diventate parte di multinazionali. Vitra è determinata a rimanere indipendente. Questo porta vantaggi e svantaggi. Sono sicuro che mia nipote e la sua squadra sapranno come muoversi in questi anni turbolenti.
Credo che la cooperazione tra designer provenienti da diverse discipline – architetti, product designer, paesaggisti o specialisti delle scienze sociali – stia diventando sempre più frequente.