A talk with Gherardo Felloni
Provenendo da una famiglia che lavorava nel settore calzaturiero, hai sempre vissuto in contatto con questo mondo, le sue dinamiche e la sua estetica. Pensi che questo abbia influenzato il tuo percorso personale in qualche modo? Come si è sviluppata la tua passione?
Sicuramente sì, sono stato influenzato. Avere la consapevolezza di come si producono le calzature e di come interagire facilmente con gli artigiani e i tecnici mi ha aiutato molto. La mia passione si è sviluppata principalmente quando ho capito che, oltre alle tecniche di fabbricazione, esistevano le idee e la creazione di una calzatura.
Che tipo di percorso hai seguito e quali sono stati i tuoi primi passi a livello professionale?
La mia prima esperienza è stata uno stage all’interno del gruppo Prada per il marchio Helmut Lang. Non avevo frequentato scuole di design e all’epoca era ancora possibile accedere nel nostro mondo avendo solo l’esperienza acquisita sul campo. Poi è arrivato il momento di Miu Miu dove ho fatto il percorso di vera crescita, avendo l’opportunità di mettermi in gioco prima sulle calzature ma poi anche sulla pelletteria e sui gioielli. Poi è arrivato Christian Dior, che mi ha portato in Francia.
Oggi sei direttore artistico di Roger Vivier. Che ruolo ricopre il rispetto della tradizione e quale, invece, la spinta innovativa quando si tratta di lavorare per una maison storica come questa?
Roger Vivier stesso è stato uno dei più prolifici creatori ed innovatori della storia della calzatura. L’innovazione per me rientra nei codici di questo marchio straordinario. La tradizione è poi la base del mio lavoro: senza savoir-faire e senza l’archivio che ho a disposizione, quello che faccio sarebbe completamente diverso. Innovazione significa rendere contemporanea una collezione, credo che questo sia il vero “goal” di uno stilista.
C’è qualcuno che consideri un mentore, al quale guardi quando sei alla ricerca d’ispirazione?
Ovviamente Roger Vivier: lo è sempre stato nell’arco della mia carriera e lo è, a maggior ragione, adesso.
Che ruolo ricopre l’arte contemporanea nel tuo approccio creativo?
L’arte contemporanea è una fonte di ispirazione e, fino a che lo rimane, è tutto molto facile ed eccitante. Credo ci sia una forte separazione tra arte e design di moda: la moda si può ispirare facilmente e piacevolmente ad un’opera d’arte, invece quando l’arte diventa moda è più complicato e rischia di diventare un pretesto. Comunque, le collaborazioni fatte nel modo giusto possono essere estremamente interessanti.
Quest’anno hai preso parte alla giuria di This Is Not a Prize, una delle iniziative che fanno parte del programma Mutina for Art. Cosa puoi raccontarci di questa esperienza?
La cosa più bella è stata conoscere o ritrovare alcuni artisti interessantissimi. La selezione dei candidati era molto varia ed è stato difficile esprimere una preferenza.
Per quali ragioni è stato scelto di assegnare il premio a Matt Connors? Cosa ti ha colpito di più del suo lavoro?
Credo sia stata la sua capacità di lavorare con il colore a condizionare la mia scelta. Io sono un grande amante del colore, dei suoi utilizzi e accostamenti.
Come descriveresti il tuo rapporto con la ceramica?
Io amo la ceramica, è uno dei materiali che forse mi attrae di più. Racchiude in sé contemporaneità e sapori ancestrali allo stesso tempo. La possibilità di colorarla, la sua versatilità e preziosità sono uniche. Credo sia un materiale che lavorato possa dare grandi emozioni.
Che cosa immagini per il futuro di Roger Vivier?
Per il futuro di Roger Vivier, immagino che il marchio preservi la sua rarità e preziosità senza mai scadere nella massificazione, perdendo delicatezza e poesia.
“Io amo la ceramica, è uno dei materiali che forse mi attrae di più. Racchiude in sé contemporaneità e sapori ancestrali allo stesso tempo. La possibilità di colorarla, la sua versatilità e preziosità sono uniche. Credo sia un materiale che lavorato possa dare grandi emozioni”.