A talk with Jean-Baptiste Fastrez
Le torri sono un’evoluzione di BRIC, l’installazione site-specific realizzata dall’artista francese per MUT nel 2019, dove sette strutture di diverse forme e dimensioni hanno dato vita a un paesaggio inaspettato, metafisico. Rolf Fehlbaum ci ha raccontato la storia dello spazio di Weil am Rhein, di come si sia sviluppato nel corso degli anni e dell’arrivo di Torre Numero Due. Ci ha parlato dei cambiamenti che stanno avvenendo all’interno dell’azienda e, più in generale, nel mondo del design e dell’architettura.
Come ti sei appassionato al design? Quali sono state le tue prime esperienze nel settore?
Questo progetto richiedeva di disegnare uno spazio, ma il mio lavoro si concentra più sulla produzione di oggetti e mobili.
Quando ero bambino volevo diventare un’artista, ma credo fossi più attratto dalle sfide del processo creativo. Nel design se ne incontrano diverso, quindi capii che era più adatto a me! La mia prima esperienza è stata nello studio di Ronan ed Erwan Bouroullec, dove ho lavorato come assistente durante gli studi. Poco dopo ho realizzato il mio primo pezzo in collaborazione con Galerie Kreo.
Come descriveresti il tuo approccio personale?
Mi piace lavorare con tecniche e materiali opposti fra loro, ma utilizzo spesso anche reference di tipo visivo. Utilizzo queste manipolazioni per raccontare una storia, fare domande riguardo la nostra relazione con gli oggetti o creare un’esperienza particolare.
La mostra “Futurissimo. The utopia of Italian design” comprende pezzi di design italiano provenienti dalla collezione del Centre Pompidou. Come sono stati sviluppati il progetto e la scenografia? Quali sono state le tue fonti di ispirazione?
La mostra è ospitata a Toulon, all’interno di una residenza del ventesimo secolo. Il museo stesso è un ibrido tra un’abitazione e uno spazio espositivo, quindi ho creato una scenografia con degli espositori che ricordassero vagamente degli oggetti di casa attraverso la loro forma. Volevo che fossero molto minimal, in modo da sembrare dei veri e propri display.
Mi piace lavorare con tecniche e materiali opposti fra loro, ma utilizzo spesso anche reference di tipo visivo.
Nel setting hai utilizzato BRAC di Nathalie Du Pasquier. Per quale motivo hai scelto questa collezione e come è stata usata?
Volevo creare una sorta di bagno, per una stanza che esponeva opere di Ettore Sottsass. Ho immaginato i suoi vasi allineati su un ripiano di piastrelle bianche, come delle bottiglie di bagnoschiuma… cercando ispirazione tra le collezioni Mutina, ho scoperto quelle disegnate di recente da Nathalie Du Pasquier. Lei e Sottsass sono state due figure storiche del gruppo Memphis degli anni ’80 e questo è diventato un elemento centrale nel progetto.
In che modo dialogano i mattoni colorati con la selezione di pezzi di design? Che tipo di esperienza hai voluto creare per il visitatore?
Ho deciso di utilizzare BRAC per creare una microarchcitettura all’interno dello spazio espositivo, qualcosa di vagamente ritualistico, come un tempio. Le creazioni di Memphis hanno questa estetica magica che ho voluto enfatizzare attraverso la scenografia. Mi piace BRAC perché i suoi elementi sembrano grezzi ma sofisticati al tempo stesso. Conferiscono uno stile unico alla costruzione, vernacolare e futuristico.
Ricordi la prima volta che sei entrato in contatto con Mutina? Cosa ti ha colpito di più dell’azienda?
La prima volta è stata quando ho scoperto Phenomenon di Tokujin Yoshioka. Rimasi impressionato da un progetto così creativo e innovativo nell’ambito delle superfici ceramiche. Quel giorno capii che le piastrelle sono oggetti di design estremamente interessanti. Inoltre, quando ero assistente per lo studio Bouroullec ebbi l’occasione di lavorare a Pico.
Mutina è l’azienda ceramica più bella e sofisticata che conosca, e ammiro molto che lavori con designer indipendenti.
Hai una collezione preferita? Perché?
Naturalmente è BRAC, mi è piaciuto tanto utilizzarla per l’installazione! Ma anche Mattonelle Margherita.
Ho deciso di utilizzare BRAC per creare una microarchitettura all’interno dello spazio espositivo, qualcosa di vagamente ritualistico, come un tempio.