A talk with Maria Cristina Didero
Fotografie di Piergiorgio Sorgetti
Com’è nata e come si è sviluppata la tua passione per il design?
Fin da bambina mi sono sempre circondata di oggetti strani e inusuali, domandandomi come fossero realizzarti. Mi piaceva utilizzarli in modi diversi, rispetto a quello per cui erano stati pensati.
Sono laureata in Lettere e Filosofia, nello specifico in Storia dell’Unione Sovietica, e ho iniziato a lavorare nel mondo del design conclusa l’università a Bologna. Credo che la mia formazione umanistica abbia influenzato molto il mio approccio al progetto: per quanto ami gli oggetti, le persone e la loro indagine sono fondamentali per me. Mi piace capire come nasce e perché viene realizzato un progetto, quali sono il pensiero all’origine e la fonte di ispirazione, la voce di chi l’ha pensato e realizzato. E poi mi piace che il design sia un lavoro collettivo.
Sei curatrice, consulente e autrice indipendente di design a livello internazionale. Tra questi ruoli, ce n’è uno a cui ti senti particolarmente legata o nel quale ti rispecchi maggiormente?
A prima vista sembrano mondi un po’ distanti, ma in realtà non lo sono affatto. Mi piace la parola curatore – o curatrice, in questo caso – perché richiama l‘idea del prendersi cura, accudire, creare e dare direzione. Penso che il curatore debba sempre camminare due passi dietro al progettista, che è la vera star – un po’ come faceva il principe Filippo con la Regina Elisabetta, per capirci. Sono anche convinta, però, che le idee migliori scaturiscano dal dialogo e dal confronto. E questo succede solo quando c’è più di un cervello in una stanza.
Come descriveresti il tuo approccio personale?
Come anticipato, la formazione umanistica mi ha portata a sviluppare un approccio olistico, attento prima alle persone e poi agli oggetti. Con le mie mostre, cerco sempre di raccontare storie di noi esseri umani attraverso gli oggetti; il rapporto con la religione con il libanese Carlo Massoud, quello con la sostenibilità con il design vegano di Erez Nevi Pana, il design e le relazioni interpersonali con Friends&Design.
Il design è una forza incomparabile ed eccezionale, capace di cambiare le nostre vite. Esiste per migliorare e ottimizzare le nostre risorse. Design significa pensiero, significa che un progetto è stato immaginato e realizzato secondo un preciso disegno mentale e fattuale. Non si può parlare di magia perché tutto è studiato nei minimi particolari, ma deve essere intrigante. Conosco progettisti affermati, che fanno questo lavoro da tempo, che ancora si emozionano alla nascita di una loro creazione, e conosco altrettante persone che si emozionano di fronte a un oggetto di cui non conoscevano l’esistenza.
Mi piace capire come nasce e perché viene realizzato un progetto, quali sono il pensiero all’origine e la fonte di ispirazione, la voce di chi l’ha pensato e realizzato. E poi mi piace che il design sia un lavoro collettivo.
Quest’anno sei stata nominata curatrice di Design Miami/ che, proprio in occasione di questa nuova edizione, oltre a Basilea e Miami, si svolgerà per la prima volta anche a Parigi. Che cosa rappresenta e come è stato sviluppato il tema della fiera, The Golden Age?
È la prima volta che Design Miami/ decide di mantenere lo stesso tema per più edizioni. È chiaro che l’età dell’oro di cui parlo è un auspicio, un desiderio, una direzione verso cui tutti dovremmo tendere. Questo tema era stato pensato lo scorso autunno, in risposta alla pandemia e alle restrizioni, quando si tentava di uscire da un lungo e articolato periodo dove eventi più grandi di noi ci avevano debilitato fortemente.
Senza dubbio, il domani è argomento di grande interesse. Dieci giorni dopo la chiusura della fiera di Basilea, inaugurerò una mostra al Museo di Arti Applicate di Amburgo, in Germania, intitolata “Ask Me If I Believe In The Future”. Domanda a cui hanno dato risposte positive quattro studi di progettazione: il duo veneto Zaven, gli Objects of Common Interest con base a New York, l’israeliano Erez Nevi Pana e la svizzera Caroline Niebling. È un quesito semplice che si sono posti in molti, ovviamente non solo con l’avvento della pandemia. Per quel che riguarda me, ho due bambine di sette mesi e quindi si, la mia risposta è: certo che credo nel futuro!
C’è una sezione, tra quelle proposte per questa edizione, che trovi particolarmente significativa? Per quale motivo?
Dopo averlo introdotto a Miami e Shangai, per la prima volta a Basilea presentiamo Podium: una mostra curata che esplicita il tema della fiera. Dato che è così ampio e aperto a diverse interpretazioni, abbiamo chiesto ai galleristi di lavorare insieme e proporci degli oggetti che, secondo loro, potessero essere in linea con la tematica – e siamo molto contenti delle proposte. La coralità è sempre un’arma potentissima.
Che ruolo ricopre l’esperienza digitale all’interno di Design Miami/ 2022? Cosa pensi di questo nuovo metodo di partecipazione che, complice la pandemia, ha preso sempre più piede nella realtà delle fiere?
La mostra appena citata, The Golden Age, sarà visibile anche online. Inoltre, Design Miami/ dispone da tempo di un e-shop efficace ed esaustivo per argomenti, prodotti e curiosità. Dopo un biennio in cui la nostra attitudine al digitale si è impennata considerevolmente, penso che sia una risorsa di grande valore. In periodo di lockdown è stato di grande aiuto non solo per le economie, ma anche per condividere emozioni e, in alcuni casi, ha aiutato a risolvere situazioni limite. È uno strumento in più a nostra completa disposizione, ma penso comunque che la vita sia fuori, a contatto diretto con le persone.
Come hai scoperto Mutina? Che cosa ti piace di più dell’azienda?
Mutina è un’azienda importante, che lavora con progettisti che stimo molto. Il primo contatto risale a diversi anni fa e aveva delle ragioni personali: ero alla ricerca di un prodotto di qualità, vicino alla mia sensibilità, per la cucina della mia casa in campagna…
Qual è la tua collezione Mutina preferita? Per quale motivo?
Questa è una domanda difficile perché ci sono diverse collezioni che trovo molto belle. Se proprio devo sceglierne una, allora è Phenomenon di Tokujin Yoshioka – che è un amico e una grande professionista di questo settore. La sua genialità dall’eleganza rara e la semplicità studiata nei minimi particolari costituiscono un’eccellenza a livello internazionale.
Come la utilizzeresti?
Userei questa texture per rivestire tutto il mio terrazzo, pavimento e parete esterna.
Il design è una forza incomparabile ed eccezionale, capace di cambiare le nostre vite. Esiste per migliorare e ottimizzare le nostre risorse.