Get In Touch
A talk with Nicola Ricciardi
30.03.22

A talk with Nicola Ricciardi

Fotografie di Piergiorgio Sorgetti

In occasione della nuova edizione di miart – che si terrà a Milano dall’1 al 3 aprile – abbiamo incontrato Nicola Ricciardi, Direttore Artistico della fiera per il triennio 2021-2023. Curatore e critico d’arte contemporanea di formazione internazionale, Ricciardi ci ha parlato del concept di questa ventiseiesima edizione, degli highlights del programma e del ruolo ricoperto dalla fruizione digitale. Siamo inoltre risaliti alle origini della sua passione per l’arte, passando per le prime esperienze di lavoro nel settore e il suo approccio personale.
In occasione della nuova edizione di miart – che si terrà a Milano dall’1 al 3 aprile – abbiamo incontrato Nicola Ricciardi, Direttore Artistico della fiera per il triennio 2021-2023. Curatore e critico d’arte contemporanea di formazione internazionale, Ricciardi ci ha parlato del concept di questa ventiseiesima edizione, degli highlights del programma e del ruolo ricoperto dalla fruizione digitale. Siamo inoltre risaliti alle origini della sua passione per l’arte, passando per le prime esperienze di lavoro nel settore e il suo approccio personale.
A talk with Nicola Ricciardi
A talk with Nicola Ricciardi

Qual è il concept della ventiseiesima edizione di miart? Come è stato sviluppato?

Se la scorsa edizione di miart si riprometteva di “riaccordare gli strumenti” del mercato dell’arte, l’obiettivo per il 2022 è dare il via a una nuova fase: al primo movimento di una possibile sinfonia. Sarà proprio questa espressione, mutuata dalla musica classica, a scandire la nuova edizione della fiera – così come il verso poetico Dismantling the silence era servito da guida per miart 2021.

Primo movimento rappresenta non solo l’inizio di una forma musicale in più parti, ma anche un desiderio di accelerazione per un settore che, dopo la positiva stagione di fiere internazionali dello scorso autunno, si sente pronto a compiere un salto in avanti. C’è ovviamente anche un riferimento alla storia dell’arte e alla sua scansione temporale in movimenti che, tra moderno e contemporaneo, si intrecciano e influenzano l’un l’altro come i passi di una coppia di ballerini.

Esiste un filo conduttore che lega questo tema a quello della precedente edizione, Dismantling the silence?

Oltre a quanto detto in precedenza, l’idea di movimento ci è parsa la naturale continuazione della poesia. Proprio come nel 2021 abbiamo giocato con i versi poetici per intrecciare miart con le istituzioni della città, durante la prossima Milano Art Week il movimento sarà incarnato in una serie di iniziative e collaborazioni con realtà appartenenti al mondo della musica, della danza e della performance, per far sì che la fiera sia innanzitutto uno stimolo per muoversi, tutti insieme: galleristi, collezionisti, artisti, cittadini e visitatori. Perché la perfetta esecuzione di una sinfonia è possibile solo se c’è collaborazione e coesione tra bacchetta, avambracci, mani, dita, sguardi, facce, gesti e pubblico in sala.

Tra le diverse sezioni della fiera, ce n’è una che trovi particolarmente interessante? Per quale motivo?

Trovo molto bella la sezione Decades curata da Alberto Salvadori, perché ben rappresenta l’ideale di raccogliere sotto lo stesso tetto oltre cento anni di storia – uno degli aspetti che rende unica miart. Concepita come un viaggio nel tempo attraverso i decenni da inizio Novecento al 2010, la sezione vede la partecipazione di 10 gallerie, ciascuna con un progetto che rappresenti una particolare decade attraverso presentazioni personali o focus tematici. Gli highlights di quest’anno sono lo stand dedicato al De Chirico degli anni ’40 di Artemisia Fine Arts, i body prints anni ‘50 di Toti Scialoja presentati da Galleria dello Scudo e, soprattutto, le fotografie anni ’70 di Robert Mapplethorpe portate da Franco Noero.

A talk with Nicola Ricciardi
A talk with Nicola Ricciardi
Primo movimento rappresenta non solo l’inizio di una forma musicale in più parti, ma anche un desiderio di accelerazione per un settore che, dopo la positiva stagione di fiere internazionali dello scorso autunno, si sente pronto a compiere un salto in avanti.

In che modo contribuisce miart alla promozione di artisti e gallerie emergenti?

Abbiamo una sezione dedicata, Emergent, che da quest’anno verrà posta all’inizio del progetto espositivo, proprio per garantire la più ampia visibilità possibile. Avremo anche nuovi premi dedicati, che dimostrano l’interesse sempre più crescente per le giovani realtà. Il merito è ovviamente di Attilia Fattori Franchini, curatrice della sezione, che ne ha fatto un laboratorio di ricerca e valorizzazione di artisti emergenti, gallerie all’inizio del loro percorso e pratiche innovative nei linguaggi e nelle esperienze. Tra le partecipazioni più interessanti di quest’anno mi fa piacere citare alcune delle gallerie con i programmi più innovativi in Europa, come la parigina Sans Titre (2016), o Sperling e Nir Altman, entrambe di Monaco, senza dimenticare le milanesi Martina Simeti e Fanta-MLN.

L’edizione dell’anno scorso di miart si era svolta per la prima volta sia in presenza che virtualmente. Posto che il dialogo e lo scambio sono momenti fondamentali nell’esperienza della fiera e che, proprio per questo, è importante poter partecipare fisicamente, che ruolo ricopre quest’anno la fruizione online?

Il formato delle fiere d’arte ibride ha funzionato bene ed è la strada che percorreremo anche nel 2022. Personalmente ritengo che le fiere digital only abbiano dimostrato i loro molti limiti e che non si possa prescindere dall’esperienza fisica. Ma questo non vuol dire accantonare l’online – deve essere piuttosto uno stimolo e un incentivo a studiarlo maggiormente, osservarlo in presa diretta, lavorando in parallelo nelle due dimensioni.

Com’è nata e come si è sviluppata la tua passione per l’arte contemporanea?

A livello inconscio credo abbia influito la passione per l’arte dei miei genitori: quando ero bambino non c’era mostra in Italia dedicata agli Impressionisti in cui non mi portassero, ricordo ancora la prima volta in cui ho visitato le basiliche di Ravenna, seguito gli itinerari di Piero della Francesca, o sono entrato al Louvre. La passione per il contemporaneo invece me la sono costruita da solo, principalmente attraverso la letteratura d’arte. Se poi devo identificare un evento in cui per la prima volta ho immaginato che l’arte contemporanea potesse essere non solo una passione ma anche una possibile professione, citerei senza dubbio la Biennale di Venezia del 2009: da allora il mio rapporto con ciò che osservavo è cambiato, in modi che ancora oggi non riesco bene a spiegarmi.

Raccontaci come hai mosso i primi passi all’interno di questo ambito: quali sono state le tue prime esperienze nel settore?

Nel 2010, poco dopo la folgorazione veneziana, lasciai l’azienda in cui lavoravo per costituire con due amici una start up che aveva l’obiettivo di gettare nuovi ponti tra gli artisti e potenziali sponsor. L’idea era molto semplice ed estremamente naïve, a pensarci oggi, ma mise in moto una serie di fortunati incontri e di dialoghi con artisti che mi hanno aiutato a comprendere l’importanza di una solida knowledge base. Il desiderio di costruirmi una serie di strumenti curatoriali mi ha portato prima a lavorare come Resident Curator ad un progetto collaterale della settima Biennale di Berlino, e poi a New York, dove sono stato ammesso al master del Center for Curatorial Studies del Bard College.

A talk with Nicola Ricciardi
A talk with Nicola Ricciardi

Hai familiarità con Mutina? Cosa ti affascina di più dell’azienda?

Sì, conosco molto bene il lavoro di Mutina e le sue collezioni. Nella casa dove abitavamo prima, mia moglie ed io avevamo ricoperto tutti i bagni con Pico di Ronan ed Erwan Bouroullec. Quello che mi affascina più dell’azienda è proprio la capacità di interpretare il lavoro e l’identità di designer come loro — o di artisti come Nathalie Du Pasquier! – e trasformarla in superfici di grès porcellanato.

Se dovessi scegliere una delle nostre collezioni, quale sarebbe e perché?

Ho una grande fascinazione per la collezione Tratti di Inge Sempé. Gli elementi sono semplici, quasi elementari, ma allo stesso tempo hanno la capacità di smuovere qualcosa di profondo. Evocano allo stesso tempo la vastità e l’infinitezza dell’astrattismo regolare di Agnes Martin e il ricordo, particolare e personale, di un vecchio quaderno di scuola.

Sei curatore e critico d’arte contemporanea, ma c’è un artista del passato con il qualche ti sarebbe piaciuto lavorare?

Non so cosa avrei dato per lavorare, anche solo come guardasala, alla mostra Cézanne Drawing che si è tenuta l’anno scorso al MoMA di New York! Complice l’emergenza sanitaria non ho potuto vederla con i miei occhi, ma è bastato il meraviglioso catalogo per immaginare che sia stata una delle mostre più belle del decennio. Per citare il Woody Allen di Manhattan, anche io sono convinto che “quelle incredibili mele e pere dipinte da Cézanne” siano una delle cose per cui vale la pena vivere.

A talk with Nicola Ricciardi
A talk with Nicola Ricciardi
Durante la prossima Milano Art Week il movimento sarà incarnato in una serie di iniziative e collaborazioni con realtà appartenenti al mondo della musica, della danza e della performance, per far sì che la fiera sia innanzitutto uno stimolo per muoversi, tutti insieme.

Il carrello è vuoto

Per soddisfare al meglio le tue esigenze, ti chiediamo di compilare il form sottostante
Sono un
Che risiede in
Interessato a

Recupera la password

Hai perso la password? Inserisci il tuo indirizzo email.
Riceverai un link per creare una nuova password via email.

Completa il tuo profilo con alcune informazioni aggiuntive

Questo è il nostro nuovo sito web e per accedere alla nuova area riservata ti chiediamo di fare reset della password e confermare alcune informazioni
Si informa che questo sito utilizza cookie di profilazione, anche di terze parti. Per maggior informazioni o negare il consenso a tutti o ad alcune cookie cliccare qui. Cliccando su accetto acconsento all’utilizzo dei cookie.