A talk with Rolf Fehlbaum
Pensare che Vitra sia ancora, in parte, una società “a conduzione familiare” è straordinario . Come ci si sente a far parte dello stesso brand che i tuoi genitori hanno creato nel 1957 e nel quale ora lavorano anche i vostri nipoti?
Inizialmente non pensavo che una azienda di famiglia fosse una buona idea. Quando, esitando, ho iniziato a collaborare con loro pensavo sarebbe stato solo per pochi anni. Nel frattempo mi sono convinto che il metodo a conduzione familiare sia molto buono per una azienda di design in quanto questo tipo di business ha bisogno di un lungo orizzonte temporale e un punto di vista commerciale-culturale ben definito. Un’azienda di famiglia può includere criteri non commerciali. Tutto dipende, ovviamente, se in famiglia ci sono persone con le competenze e il carattere necessario. Siamo molto fortunati in Vitra, perché mia nipote Nora soddisfa tutti i criteri necessari e quindi Vitra continua ad operare ancora oggi come impresa familiare.
Qual è il suo ricordo più bello legato alla storia di Vitra?
Nella mia famiglia tutti erano portati per il ballo, la pittura, la scultura, la musica, quindi l’arte ha sempre fatto parte della mia vita mentre crescevo tra Beirut e Londra. Sono l’unica che, inizialmente, ha preso una strada diversa decidendo di studiare diritto pubblico internazionale! Poi nel 1997, mentre ero a Londra, ho visitato Sensations’ alla Royal Academy; lo squalo di Damien Hirst sospeso nella formaldeide; i manichini di bambini di Jake e Dino Chapman, con i genitali innestati in viso; Sarah Lucas, Jenny Saville, Rachel Whiteread… Quella per me è stata la svolta. Sono tornata a Boston, ho lasciato legge e ho ho iniziato la facoltà di storia dell’arte, per poi passare ad art management. Credo di aver sempre saputo che avrei voluto lavorare in un settore capace di commentare in modo forte la nostra società. Diritto internazionale era una strada possibile, ma mi appassiona molto di più lavorare con gli artisti.
L’incontro a lei più caro?
I miei incontri più cari sono sempre stati quelli con i designer, da Charles Eames a George Nelson, ad Antonio Citterio, Alberto Meda, Jasper Morrison, Hella Jongerius, Konstantin Grcic, i fratelli Bouroullec e altri. Beh, dovrei anche citare alcuni incontri con gli architetti: Frank Gehry, Zaha Hadid, Alvaro Siza, Renzo Piano, Jacques Herzog e Pierre de Meuron. E indimenticabili: gli incontri con Tibor Kalman.
I miei incontri più cari sono sempre stati quelli con i designer.
Si ricorda la prima volta che ha incontrato Massimo Orsini e il team di Mutina?
Sì, me lo ricordo molto bene. È stato dopo il vernissage della personale dei Bouroullec al Musée des Arts Décoratifs. È stato amore a prima vista. Abbiamo immediatamente legato e stretto amicizia. Professionalmente, per me è stata la scoperta della ceramica come un tema molto importante. Non ne ero mai stato realmente a conoscenza, ma quando sono entrato in contatto con Mutina, ne ho sentito l’impatto.
Qual è il suo motto?
Se devo dare una risposta senza troppe riflessioni direi: “Fai il meglio con ciò che hai”. Questo significa, per esempio, accettare di buon grado il fatto di essere bravi in determinate cose e meno in altre, così da concentrarsi sui tuoi punti di forza e compensare la tua debolezza lavorando con persone che hanno competenze complementari. Quindi si utilizza il punto debole per creare nuovi legami produttivi.
Dove si vede il prossimo anno?
Sono passato dal dirigere l’azienda all’essere senior advisor (e membro del consiglio). Mi godo questo ruolo e la nuova libertà che ne deriva, che è la conseguenza dell’avere molte meno responsabilità.
Professionalmente, per me è stata la scoperta della ceramica come un tema molto importante.