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A talk with Shirana Shahbazi
02.02.22

A talk with Shirana Shahbazi

Photography by Anne Morgenstern, Stefania Zanetti
Vincitrice del premio annuale This Is Not a Prize 2021, l’artista Shirana Shahbazi lavora con il mezzo fotografico per esplorare gli immaginari contemporanei, insieme alle nozioni di realtà e illusione. Durante il nostro incontro, ci ha parlato del suo approccio personale e della sua ricerca, che si concentra prevalentemente sulla fotografia analogica e sull’intersezione di diversi codici estetici, e dell’influenza che ha avuto su questi aspetti il suo background multiculturale.
Vincitrice del premio annuale This Is Not a Prize 2021, l’artista Shirana Shahbazi lavora con il mezzo fotografico per esplorare gli immaginari contemporanei, insieme alle nozioni di realtà e illusione. Durante il nostro incontro, ci ha parlato del suo approccio personale e della sua ricerca, che si concentra prevalentemente sulla fotografia analogica e sull’intersezione di diversi codici estetici, e dell’influenza che ha avuto su questi aspetti il suo background multiculturale.
A talk with Shirana Shahbazi
A talk with Shirana Shahbazi

Che cosa cerchi in una fotografia?

Tempo. Profondità. E significati mutevoli.

Scatti in analogico in un modo dominato dal digitale. Per quale motivo?

La fotografia analogica non è una religione, ma è il mezzo con cui mi è stato insegnato a lavorare e con cui sono brava. Apprezzo la nozione di tempo intrinseca a questo metodo – se non vedi immediatamente il risultato delle immagini che scatti, presterai più attenzione mentre lavori – e ha solo due parametri per influenzare le stampe – una quantità molto limitata rispetto agli strumenti digitali e ai loro filtri infiniti –, il che aiuta a mantenere un certo limite di perfezione. Inoltre, non si passa il tempo a controllare costantemente su uno schermo quello che è effettivamente visibile attraverso le lenti. Preferisco guardare i miei provini che lavorare su centinaia di file.

Detto questo: uso anche immagini digitali per metodi di stampa come litografia, serigrafia o per stampare libri.

Sei nata in Iran, poi ti sei trasferita in Germania e dopo ancora in Svizzera, dove vivi tutt’ora. In che modo queste esperienze hanno influenzato la tua pratica e il tuo approccio personale?

Ognuno di questi luoghi corrisponde a un periodo specifico della mia vita, quindi il loro impatto è stato molto diverso dal punto di vista personale e biografico. Tuttavia non posso considerarli separatamente, significherebbe privarli di significato.

Naturalmente l’aspetto ibrido del mio lavoro, che evidenzia diversi significati e vari modi di comprendere, deriva dal contesto multiculturale in cui sono cresciuta. Ma potrebbe anche essere più semplice: la cultura iraniana mi ha trasmesso la capacità di riempire gli spazi con una visione colorata ed eterogenea, la scuola di fotografia tedesca e il discorso critico hanno plasmato la mia consapevolezza creativa e, in quanto artista svizzera, ho racchiuso tutte le esperienze di lavoro nella mia vita professionale.

A talk with Shirana Shahbazi
A talk with Shirana Shahbazi
A talk with Shirana Shahbazi
Preferisco guardare i miei provini che lavorare su centinaia di file.

C’è qualcuno che consideri come un mentore o che è stato particolarmente importante nel tuo percorso artistico?

Suonerà sdolcinato, ma mia madre! È difficile spiegarne il motivo. Ho anche lavorato a stretto contatto con Manuel Krebs di NORM Zurich negli ultimi vent’anni.

Il tuo lavoro è caratterizzato dall’intersezione di diversi codici estetici, quali design, architettura, moda e grafica. In che modo coesistono e comunicano all’interno di una singola immagine?

Mi interesso molto alle singole immagini, anche se divento sempre più felice man mano che l’insieme si arricchisce. A volte i collage sono costituiti da combinazioni di immagini singole affiancate, altre volte si sovrappongono all’interno di un fotogramma, che sia in forma analogica, multi esposizione o sovrastampa in litografia. Sostanzialmente, si tratta di aggiungere strati in modo tale che la realtà rappresentata diventi sempre più complessa e profonda.

Che ruolo gioca lo spazio espositivo nel tuo lavoro? In che modo interagisce con le tue opere, influenzandone la percezione?

Prendo seriamente in considerazione lo spazio espositivo, così come l’esperienza fisica del trovarsi di fronte alle opere. L’architettura tende ad avere un forte potere, quindi cerco di avere controllo dell’ambiente. Mi piace decostruire stanze e creare nuovi modi di farne esperienza. Affinando la consapevolezza mentre si osservano i lavori.

Ricordi la prima volta che hai sentito parlare di Mutina?

Ho un rapporto di lavoro e amicizia con Sarah Cosulich da molto tempo. Abbiamo realizzato diversi progetti insieme dall’inizio della mia carriera. Ha visto le mie nuove creazioni realizzate in ceramica e abbiamo iniziato a parlare di Mutina. Inoltre, in passato ho lavorato con la ceramica per progetti di arte pubblica su larga scala.

Qual è la tua collezione ceramica preferita? Perché?

È Rombini Triangle di Ronan ed Erwan Bouroullec, soprattutto nella finitura lucida. Amo la tridimensionalità e i giochi di luce e ombra che trasformano continuamente l’aspetto delle pareti; allo stesso tempo, guardandole a distanza sembrano piane. Bellissimi colori, forme semplici e perfette.

Massimo Orsini (CEO Mutina), Shirana Shahbazi, Sarah Cosulich (Mutina for Art curator)
Massimo Orsini (CEO Mutina), Shirana Shahbazi, Sarah Cosulich (Mutina for Art curator)
A talk with Shirana Shahbazi
Mi piace decostruire stanze e creare nuovi modi di farne esperienza. Affinando la consapevolezza mentre si osservano i lavori.

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