Com’è nata la tua passione per l’agronomia e in che modo si è evoluta, fino a raggiungere l’ambito dell’architettura? Quando hai capito che volevi farne una professione?
Fin da molto piccolo, vivendo in una zona rurale al limitare della Val Chisone, sono stato folgorato dalla bellezza del mondo vegetale. Passavo quasi tutte le mie ore libere in campagna con mio nonno paterno, ex giardiniere presso una famiglia nobiliare della Val Pellice: lo seguivo nelle potature delle siepi in forme topiarie, nella tosatura dei tappeti erbosi, nella cura del nostro piccolo frutteto e dell’orto, nelle passeggiate nei campi e lungo le sponde del torrente, nelle visite ai contadini che abitavano nelle cascine della zona… Inoltre, la nostra casa di famiglia si trova vicino al castello di Miradolo, una proprietà con oltre 6 ettari di parco, popolato da alberi secolari e con un’aura storica suggestiva: fuggivo spesso in quei sentieri e mi ci perdevo. Un contesto immersivo, da cui non poteva nascere che un piccolo agronomo.
Qual è la storia di GMP Studio? Com’è nato il progetto e quali sono i suoi principi fondanti?
GMP Studio nasce nel 2019 dall’aggregazione dello Studio Archi-Land di Alessandria con lo Studio Flavio Pollano di Pinerolo: abbiamo deciso di fondere le nostre competenze per fornire una gamma sempre più ampia di servizi tecnici. Crediamo che da sensibilità ed esperienze professionali diverse possano nascere idee progettuali e proposte diversificate, in grado di soddisfare le esigenze di molti committenti per quanto riguarda progettazione agronomica, forestale, architettonica e del verde, pubblica o privata.
Quando si tratta di progettare uno spazio paesaggistico, qual è il punto di partenza? Quali sono gli aspetti fondamentali da tenere in considerazione?
Il punto di partenza è il luogo inteso nella totalità delle sue specifiche ecologiche. Si parte dalla valutazione dei principali parametri ecologici e agro-forestali, determinando il grado di sensibilità e resilienza presumibile delle varie subaree del progetto, nonché della Flora potenziale. Vanno considerati: microclima, piovosità, regime delle temperature, venti dominanti… Non si può prescindere poi dalla pedologia, fino al prelevamento di campioni di suolo e all’analisi fisico/chimica, al fine di comprendere le caratteristiche e le potenzialità di adattamento delle piante da inserire. Ancora, soprattutto in tempi di cambiamenti climatici e siccità, va considerata l’idrologia del luogo, la disponibilità e la qualità delle acque irrigue.
A quel punto inizia il percorso progettuale, dalla fase di masterplan alla realizzazione delle aree verdi stesse. Questo processo richiede di adottare un approccio multidisciplinare, con il supporto dei progettisti ingegneristici e architettonici, tenendo in considerazione tutti i vincoli del luogo (normativi e non). Inoltre, è necessario creare un dialogo con lo spazio costruito.
Crediamo che da sensibilità ed esperienze professionali diverse possano nascere idee progettuali e proposte diversificate, in grado di soddisfare le esigenze di molti committenti per quanto riguarda progettazione agronomica, forestale, architettonica e del verde, pubblica o privata.
Come è stato sviluppato il progetto dell’area verde per la nuova sede Mutina? Quali erano le richieste dell’azienda e come sono state implementate nella proposta finale dell’intervento?
Durante la prima riunione, mi furono sottoposti alcuni scatti dei giardini del Vitra Campus di Weil am Rhein, concepiti da Piet Oudolf, esponente di spicco del movimento New Perennial. Compresi immediatamente quale fosse l’atmosfera in animo all’azienda e fu automatico far collimare queste ambizioni con il gusto di Patricia. Lì ebbi i primi chiarori dell’idea progettuale e del mood: un approccio più ecologico che pittorico, dove la formalità nel suo senso tradizionale viene generalmente bandita, per fare posto a connessioni e ammissibilità ecologica. Una visione dove le piante sono protagoniste meno per le loro caratteristiche salienti (e fatalmente temporanee), come la fioritura o il colore, ma per il fascino del loro continuo mutare nelle stagioni.
In che modo il racconto vegetale si ricollega al concept di Spazio Mutina e comunica con la struttura architettonica?
La volontà di Patricia Urquiola era quella di ripensare l'azienda come un'oasi verde, dove poter fare esperienza del prodotto attraverso il continuo confronto con la natura e la luce, combinando unicità botanica e ricchezza compositiva e formale. Si è voluto, infatti, pensare a uno spazio verde che comunicasse direttamente con lo showroom, dove ci si potesse riunire e trascorrere momenti di svago e distensione, in una continua fluidità tra spazi di lavoro e ricreativi, interni ed esterni. Mutina abbraccia lo spirito della ricerca e, in questo senso, l’impiego di 135 diverse specie e varietà botaniche, afferenti a 29 ordini e 38 famiglie, testimonia la mia volontà di sperimentazione e contaminazione controllata, intesa nel senso più virtuoso del termine.
Che tipo di esperienza volevi creare per i visitatori della sede?
Volevo che i visitatori si sentissero accolti dal verde, entrando in un giardino dal sapore meno tradizionale rispetto all’ordinario, avvolgente e immersivo. La volontà di portare avanti alcune sperimentazioni e accostamenti inconsueti crea situazioni inedite o, comunque, a cui il pubblico italiano è meno abituato. Mano a mano che le piante si adatteranno al luogo e inizieranno a interagire tra di loro, diventerà sempre più stupefacente. In ogni stagione il giardino avrà qualcosa da insegnare, o da trasmettere: è una mia ferma volontà quella di raccontare la natura anche attraverso la ripetizione dei suoi cicli di vita.
Ricordi la prima volta che sei entrato in contatto con Mutina? Cosa ti ha colpito di più?
Sono entrato per la prima volta in contatto con Mutina quando Patricia mi ha coinvolto nel progetto. Occupandomi di paesaggistica, non mi ero mai approcciato direttamente all'azienda, sebbene la conoscessi grazie al prestigio guadagnato sulla scena internazionale.
Come si è sviluppata la collaborazione con l’azienda?
Fin dai primi approcci al progetto preliminare, la collaborazione si è sviluppata attraverso una fittissima rete di scambi di opinione, qualificati e rispettosi. Mutina mi ha sempre permesso di dialogare con professionisti interni di alto livello.
Hai una collezione Mutina preferita? Per quale motivo?
È Tierras di Patricia Urquiola, per la matericità e la vibrazione che trasmette, e per la volontà della designer di ripartire da cromatismi tipici della terra e della lava. Un’emozione semplice, quanto evocativa di suggestioni del mio passato: le biglie in terracotta di mio nonno e il color verderame dei pali di vigna, che irrompe nelle trame di Frame Rust.
Se dovessi ricollegarla a una pianta, quale sarebbe? Perché?
Per l’evidente assonanza coloristica, associo questa collezione ai frutti del mandorlo (Prunus amygdalus L.). Infatti, Tierras Rust esprime tonalità profondamente simili a quelle della mandorla appena sgusciata.
Si è voluto, infatti, pensare a uno spazio verde che comunicasse direttamente con lo showroom, dove ci si potesse riunire e trascorrere momenti di svago e distensione, in una continua fluidità tra spazi di lavoro e ricreativi, interni ed esterni.